Il mio primo contatto con la città di Istanbul risale al 1971. Si trattò di un incontro breve ma decisivo.
All'inizio di un lunghissimo viaggio in Turchia - un paese che in quegli anni era considerato pericoloso - feci sosta per oualche giorno a Istanbul, senza scattarvi alcuna fotografia. Volevo, infatti, utilizzare tutte le pellicole di cui disponevo in Anatolia orientale, dove immaginavo che si celassero segreti molto più affascinanti. Nondimeno, mentre passeggiavo alla ricerca di chiese bizantine poco note, mi smarrii nei quartieri squallidi, ma indicibilmente incantevoli, del Corno d'Oro. In quelle viuzze, fui testimone di due scene che mi colpirono profondamente. La prima fu piuttosto divertente : in un vicolo immondo, due bambini coperti di stracci si imbrattavano l'un l'altro di fango con eccitazione; i loro sguardi sprizzavano gioia. L'altra fu più drammatica. Appena qualche minuto più tardi, sul Viale Fener, vidi caricare in un dolmuş tutto sgangherato un giovane apprendista che si era ferito poco innanzi lavorando su un macchinario : viso livido, sangue misto a grasso, sofferenza, rassegnazione, solidarietà. Ebbi subito la sensazione che avrei amato questa città e che, per molti anni, mi sarebbe stato impossibile separarmene.
A partire dall'anno seguente, grazie ad una borsa di studio del governo turco, ritornai a Istanbul per un soggiorno di due mesi interi durante i quali feci le prime fotografie in bianco e nero della mia carriera. In seguito, altri soggiorni, lunghi o brevi, si sarebbero susseguiti ogni anno. Così finii addirittura per risiedere stabilmente a Istanbul per quasi tre anni, dapprima come insegnante, poi, più tardi, come fotografo dell'Istituto francese di studi anatolici. In tutto quel periodo ho percorso instancabilmente le strade della città, con l'occhio appiccicato all'obiettivo, scoprendo continuamente cose nuove e del tutto imprevedibili. Affascinato dalla geografia complessa di questa città inesauribile, ne esploravo i vicoli ciechi e i terreni incolti ; entravo nelle officine e nelle botteghe e simpatizzavo con gli usta; passavo giornate intere nei çay evi; frequentavo ogni giorno i barbieri e passavo le serate nelle lokanta. D'altra parte, ero anche costretto a fare la coda per ore negli uffici amministrativi per cercare di ottenere, invano, dei regolari documenti di soggiorno. E intanto le fotografie si andavano accumulando.
In seguito, a partire dal colpo di stato del 1980, venne il momento della distruzione sistematica dei quartieri antichi da parte di amministratori incuranti del valore dei beni culturali, e tutti quegli elementi che costituivano il fascino di questa città scomparvero poco a poco. Ogni colpo di piccone inferro a Istanbul mi squarciava il cuore. E ogni volta che partivo per fare ritorno a Lione mi dicevo : questa è l'ultima volta!
Eppure ci torno, ancora e sempre.
Realizzare tra il 1972 e il 1991, le fotografie di Paul Veysseyre tracciano un ritratto senzo tempu di un'İstanbul al tempo stesso quotidiana e segreta.